Assenza dal lavoro retribuita: donazione sangue

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ragazza a cui sta per essere prelevato il sangue da una infermiera

Assentarsi dal lavoro per donare “gratuitamente” il sangue, oltre che rappresentare un gesto socialmente altruistico, è un diritto riconosciuto al lavoratore dipendente, sia pubblico che privato, che può esercitare liberamente nei confronti del proprio Datore di Lavoro, ma soprattutto senza correre il rischio che gli vanga negato.

Personalmente non mi è mai successo, ma del resto come avrei mai potuto saperlo, ma credo che sia raro che un lavoratore dipendente doni il sangue durante un giorno di riposo.

Ma è ovvio: i permessi per donazione sangue sono retribuiti, o meglio coperti dall’INPS, anche se erogati dal Datore di Lavoro, per tutti coloro che si “assentano” dal lavoro per il nobile gesto.

Ciò significa, e qui chiudiamo il cerchio, che donare il sangue in un giorno di riposo non garantisce alcun diritto economico o compensativo.

A dirlo è la Legge n. 219 del 2005 all’articolo 8 specifica: “I donatori di sangue e di emocomponenti con rapporto di lavoro dipendente, hanno diritto ad astenersi dal lavoro per l’intera giornata in cui effettuano la donazione, conservando la normale retribuzione per l’intera giornata lavorativa “.

Più raro ma anche il lavoratore che dona il midollo osseo ha diritto a permessi retribuiti per l’espletamento degli atti preliminari alla donazione, per la donazione stessa e per i giorni successivi di convalescenza (periodo concesso a fronte dell’impegno fisico necessario per l’operazione).

La legge prevede la copertura assicurativa ai fini pensionistici per il periodo di assenza dal lavoro destinato alla donazione di sangue e del midollo osseo.

Ma torniamo alla donazione del sangue. Il permesso retribuito spetta quindi per l’intera giornata lavorativa in cui si effettua la donazione, o ancor meglio per la durata di 24 ore decorrenti da quando il dipendente si assenta dal lavoro per effettuare il prelievo o, in mancanza di questo dato, dal momento in cui ha effettuato la donazione risultante dal certificato.

 

Funziona così:

Prima di beneficiare del permesso, il lavoratore “deve” comunicare in anticipo al Datore di Lavoro la data in cui intende donare il sangue.

Posto che il lavoratore “deve chiedere”, magari con un “congruo” anticipo, (e mi pare giusto) la normativa non prevede che il Datore possa rifiutare il permesso adducendo, ad esempio ad esigenze organizzative o produttive. Inoltre, non esiste una definizione di “congruo”. Se per me congruo significa un mese per un altro potrebbe significare un giorno. Ma ci pensano i CCNL a stabilirlo… anche se non tutti.

Ottenuto il permesso dal Datore di Lavoro, il lavoratore si reca presso un centro di raccolta (fisso o mobile), o centro trasfusionale, o centro di produzione di emoderivati (tutti autorizzati dal Ministero della Sanità). I servizi dovranno produrre idonea certificazione, attestante la donazione cui è stato sottoposto il dipendente. In caso di parziale o impossibile donazione per motivi di ordine sanitario, il medico addetto al prelievo è tenuto al rilascio di un certificato medico che attesti il giorno e l’ora della mancata donazione.

In quest’ultima ipotesi, ovvero nei soli casi in cui i lavoratori non fossero giudicati idonei alla donazione, si avrebbe diritto al permesso per le ore di assenza necessarie per recarsi presso il centro trasfusionale ed espletare le procedure per l’accertamento dell’inidoneità, quindi NON 24 ore!

 

Quanti permessi ha diritto il lavoratore?

Ebbene il limite massimo di permessi lo stabilisce il D.M. 3 marzo 2005 che fissa un tetto di quattro donazioni all’anno per l’uomo e due per le donne in età fertile per sangue intero.

Tra due donazioni l’intervallo minimo è di 90 giorni.

 

Una riflessione super partes

La donazione di sangue deve essere gratuita, e vabbè, ma il prelievo deve raggiungere un minimo di 250 grammi ed un massimo di 700. Non è poco. Da un punto di vista fisiologico, il corpo sostituisce il volume del sangue “donato” (plasma) entro 24 ore. Questo giustifica perché la normativa ha stabilito un riposo compensativo “retribuito” di 24 ore per il lavoratore che si assenta durante il lavoro.

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