Giusta causa e reazioni emotive sul lavoro:
limiti del licenziamento

Giusta causa reazioni emotive

Nel contesto lavorativo, può capitare di perdere la pazienza e, nei casi peggiori, dalle discussioni si può arrivare agli insulti e alle minacce. Sebbene sia sempre consigliabile affrontare i problemi confrontandosi in modo civile, la realtà è che le tensioni possono sfociare in comportamenti inappropriati, ma purtroppo anche a scelte del Datore di Lavoro “inappropriate” e altrettanto emotive! La Giurisprudenza, infatti, ha affrontato numerosi casi riguardanti offese e insulti sul posto di lavoro, stabilendo attraverso diverse sentenze che tali comportamenti, in alcuni casi, rappresentano un reato, mentre in altri …solo acqua fresca!


Gli ermellini tendono a riconoscere che una reazione emotiva, anche se espressa con toni irriguardosi, non giustifica automaticamente il licenziamento per giusta causa.


Infatti, molto spesso le tensioni che nascono sul luogo di lavoro, tra colleghi, o nei confronti del datore di lavoro possono influenzare la relazione emotiva del lavoratore. Così un linguaggio aspro e polemico, magari anche offensivo e diretto esplicitamente al Datore di Lavoro, se no accompagnato da minacce o aggressioni fisiche, non giustifica il licenziamento.


Un sonoro vaff…#@!! al capo o ad un collega, oppure esternare senza mezzi termini critiche al proprio superiore, in certi casi può essere uno “stimolo” per sollecitare un dibattito, o addirittura un mezzo per incoraggiare il miglioramento dell’organizzazione aziendale. (Cassazione, 7 maggio 2010, n. 17672).


In pratica, l’offesa al Capo, se non causa un danno morale o materiale all’azienda, ovvero anche un turbamento psicologico significativo ai destinatari delle “parolacce”, ed anzi serve per ravvivare una situazione stagnante… il licenziamento non saddafà!!


Rimanendo sempre in tema, la sentenza n. 17672/2010 ha sdoganato che dare del “matto” o “pazzo” al proprio datore di lavoro NON ha un valore distruttivo, essendo nell’uso comune un modo come un altro per indicare un comportamento da non tenere in ufficio! Per dirla alla veneta: “ti te si mato!” zio….


Da ultimo il tribunale di Rovigo, con la sentenza n. 88/2025 ha dichiarato illegittimo il licenziamento di una Direttrice che durante una riunione del Consiglio di Direzione, aveva apostrofato il Presidente con l’epiteto “imbecille” e accusato i membri del Consiglio di essere “omertosi”.


Le espressioni irriguardose utilizzate si inserivano in un contesto di difficoltà relazionale preesistente tra la direttrice e il Presidente, documentato nei verbali delle precedenti riunioni.
La condotta, dice la sentenza, sebbene censurabile, era frutto di una “emotiva e istintiva reazione” in un contesto di difficoltà relazionale già noto!


Infine, il Giudice ha ritenuto che non fossero state proferite “minacce” né era stato provato un turbamento psicologico nei destinatari.
Il Tribunale ha quindi condannato il datore di lavoro a corrispondere 18 mensilità di retribuzione globale di fatto applicando l’art. 18, comma 5 dello Statuto dei Lavoratori.


Quindi:
Datore di Lavoro sei avvertito: prima di parlare conta fino a 100 e poi taci!!

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