A partire dal 12 gennaio 2025, sono entrate in vigore le nuove disposizioni riguardanti il “periodo” di prova nei contratti a tempo determinato, introdotte dalla Legge 13 dicembre 2024, n. 203.
Queste modifiche sono state introdotte per rendere più chiari e uniformi i criteri per la determinazione della durata del periodo di prova nei contratti a termine, rispondendo a esigenze di maggiore trasparenza e tutela per i lavoratori.
In sintesi di cosa si tratta?
La nuova normativa stabilisce che la durata del periodo di prova sarà proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere. In particolare, il periodo di prova sarà di un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro.
Il criterio di “proporzionalità” deve rientrare entro certi limiti minimi e massimi [..]
La durata del periodo di prova non potrà essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni per i contratti di durata non superiore a sei mesi. Per i contratti di durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi, il periodo di prova non potrà superare i trenta giorni.
Pro e contro
Sicuramente un po’ di chiarezza rispetto alle precedenti regole, che lasciavano troppi margini ad un’applicazione soggettiva del periodo di prova, ci voleva! Se non altro per avere una linea comune per il datore di lavoro ed il lavoratore con la garanzia che il periodo di prova venga calcolato correttamente nel rispetto dei limiti stabiliti dalla norma a garanzia di un rapporto di lavoro equo e trasparente.
Di contro, la rigidità della norma non diversificano il periodo di prova in base alle mansioni o al livello di inquadramento del lavoratore, come avviene per i contratti a tempo indeterminato. Queste regole appiattiscono le competenze perché cadono a pioggia su tutti i contratti a termine dove è la durata del contratto a determinare il periodo di prova, senza tenere conto altresì delle diverse esigenze dei settori lavorativi.
Da un punto di vista “tecnico” queste nuove regole destano preoccupazioni riguardo ai dubbi interpretativi che potrebbero sorgere, soprattutto in relazione alle previsioni contenute nei contratti collettivi nazionali (CCNL). La maggior parte dei CCNL regolamenta la durata del periodo di prova senza distinguere tra contratti a tempo determinato e indeterminato, il che potrebbe creare confusione nell’applicazione delle nuove norme, soprattutto quando la nuova norma rimanda al CCNL le condizioni di miglior favore… Ma per chi sono le condizioni di miglior favore?? Per il lavoratore o per il datore di lavoro??
Infine questa troppa “rigidità” potrebbe limitare le opportunità di lavoro per i lavoratori a tempo determinato, poiché i datori di lavoro potrebbero essere meno inclini ad avvalersi di contratti a termine per evitare di dover gestire il periodo di prova.
Un caso pratico…
Se assumo un lavoratore per 3 mesi, secondo le nuove disposizioni dovrò applicare ad un periodo di prova di 6 gg. (1 gg ogni 15 con un minimo di 2gg). Se lo stesso lavoratore lo assumessi a tempo indeterminato il periodo di prova, ad esempio, potrebbe essere di 1 mese. Quindi?? Per aver la possibilità di valutare la persona preferisco un periodo di prova più lungo e magari sganciarmi dallo stesso piuttosto che fare un contratto a termine, oppure faccio dei “micro” contratti a termine, magari di un mese, prorogandoli fino ad un massimo di 4 volte per poi decidere se il lavoratore fa o no al caso mio…