Patto di Non Concorrenza:
Orientamenti Giudiziali di “liceità”

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Nel panorama giuridico italiano, il patto di non concorrenza è uno degli strumenti più complessi e soggetti a interpretazioni discrezionali da parte dei giudici. Regolato dall’articolo 2125 del Codice civile, questo patto limita l’attività lavorativa del dipendente dopo la cessazione del contratto di lavoro. Vediamo insieme i requisiti fondamentali e le principali interpretazioni giurisprudenziali.


Requisiti del Patto di Non Concorrenza

Il patto di non concorrenza deve rispettare alcuni requisiti essenziali per essere valido:

  1. Forma Scritta: Il patto deve essere formalizzato per iscritto
  2. Corrispettivo: Deve essere previsto un compenso adeguato al lavoratore
  3. Limiti di Oggetto, Tempo e Luogo: Il patto deve specificare chiaramente l’ambito di applicazione, la durata e l’area geografica di validità.

La durata del vincolo non può superare i cinque anni per i dirigenti e i tre anni per gli altri lavoratori. Se il patto prevede una durata maggiore, questa viene automaticamente ridotta ai limiti legali.


Giurisprudenza e Applicazione

La giurisprudenza italiana ha spesso affrontato la questione del patto di non concorrenza, concentrandosi su due aspetti principali: l’estensione territoriale e il corrispettivo.


Estensione Territoriale

La validità del patto dipende dalla sua ragionevolezza. Se l’area di applicazione è troppo vasta, rendendo difficile per il lavoratore trovare una nuova occupazione, il patto può essere dichiarato nullo. La giurisprudenza tende a circoscrivere l’area di divieto in modo da permettere al lavoratore di sfruttare la propria professionalità senza eccessive limitazioni.


Determinazione del Corrispettivo

Non esistono criteri univoci per determinare l’ammontare del corrispettivo del patto di non concorrenza, ma deve essere proporzionato al disagio subito dal lavoratore. La giurisprudenza tende a considerare adeguato un corrispettivo pari al 50% del trattamento retributivo annuo. Questo principio è stato ribadito in diverse sentenze della Corte di cassazione, che hanno sottolineato l’importanza di un compenso congruo e proporzionato al sacrificio richiesto al lavoratore.


Ad esempio, la sentenza n. 22247/2021 della Corte di Cassazione ha chiarito che il corrispettivo deve essere determinato o determinabile al momento della stipulazione del patto, in modo che il lavoratore sia consapevole del prezzo a fronte del quale rinuncia, seppur entro certi limiti, al proprio diritto al lavoro. La Corte ha inoltre stabilito che un corrispettivo simbolico o manifestamente iniquo può portare alla nullità del patto.


Modalità di Erogazione del Corrispettivo

Il corrispettivo del patto di non concorrenza può essere erogato durante il rapporto di lavoro o alla sua cessazione. Tuttavia, la giurisprudenza è incline a dichiarare nullo il patto se il corrispettivo è determinato in funzione della durata del rapporto di lavoro, poiché non immediatamente determinabile. Questo principio è stato ribadito dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 4032/2022, che ha evidenziato come un compenso erogato in costanza di rapporto non permetta di valutare ex ante la congruità del compenso stesso rispetto ai limiti imposti al lavoratore.
Per ovviare al rischio di indeterminatezza, è possibile adottare alcuni accorgimenti. Ad esempio, il corrispettivo può essere stabilito in modo tale da essere determinato o agevolmente determinabile già al momento della stipulazione del patto. Questo può essere fatto attraverso meccanismi di erogazione che prevedano un importo fisso o una percentuale del trattamento retributivo annuo, indipendentemente dalla durata del rapporto di lavoro.


Restituzione del Corrispettivo

In caso di nullità del patto, il datore di lavoro può richiedere la restituzione del corrispettivo versato. Tuttavia, se il corrispettivo è stato erogato durante il rapporto di lavoro, potrebbe essere considerato come parte del trattamento retributivo e quindi non restituibile.


Clausole Potestative

Le clausole che permettono al datore di lavoro di svincolarsi unilateralmente dal patto sono considerate illegittime, in quanto lasciano al datore una facoltà discrezionale che può danneggiare il lavoratore. La giurisprudenza ritiene queste clausole meramente potestative e quindi non valide.


Conclusioni

Il patto di non concorrenza è uno strumento complesso che richiede un’attenta valutazione sia da parte del datore di lavoro che del lavoratore. La mancanza di criteri normativi precisi lascia ampio margine di discrezionalità ai giudici, rendendo essenziale la stipulazione di accordi chiari e ben definiti.

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