La recente sentenza della Corte di cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 26770 del 15 ottobre 2024, ha confermato la legittimità del licenziamento di un lavoratore per un ritardo di 40 minuti nel servizio di vigilanza.
La Corte ha considerato la particolarità del servizio di vigilanza e ha rilevato che la disattenzione del lavoratore nella lettura della comunicazione delle variazioni di turno integrava un inadempimento di significativa gravità, lasciando l’istituto di credito committente privo del servizio di vigilanza.
Sicuramente nello specifico caso ha avuto un peso rilevante anche la “recidiva” del lavoratore per svariati precedenti richiami disciplinari sempre dovuti a ritardi.
Il ritardo al lavoro è sicuramente un tema complesso e molto frequente che può avere diverse implicazioni legali e disciplinari che non significa che possa determinare un licenziamento solo perché la recente sentenza lo ha ritenuto legittimo.
Quando il ritardo è ammissibile (che non significa concesso)
Premesso che non esiste una risposta univoca perché la valutazione va fatta tenendo conto delle circostanze, della gravità del ritardo, dalla frequenza ecc., si possono identificare tre situazioni “ammissibili”, che tuttavia necessitano che il dipendente dia tempestiva comunicazione al datore di lavoro del proprio ritardo
- Cause di forza maggiore: eventi imprevedibili e inevitabili come incidenti stradali, scioperi dei mezzi pubblici, calamità naturali. In questi casi, il dipendente deve comunque avvisare il datore di lavoro appena possibile e dimostrare la veridicità della causa
- Cause soggettive: situazioni personali o familiari, come problemi di salute o necessità di assistere un familiare. Naturalmente se trattasi di eventi inaspettati dovranno essere documentati dal lavoratore e per non risultare come assenze non retribuite e magari chiedere un permesso retribuito al datore di lavoro
- Cause oggettive: circostanze esterne come condizioni meteo avverse, guasti ai mezzi di trasporto (documentati)
È di tutta evidenza che il comportamento, la condotta del dipendente influisce sulla “tolleranza” per un eventuale ritardo. Ad esempio, l’aver dormito troppo o aver perso il mezzo di trasporto sono situazioni che rientrano nella sfera personale del dipendente che tuttavia ha delle ricadute sul rapporto di lavoro. Ma un conto è il lavoratore che non ha mai fatto un minuto di ritardo in anni di lavoro ed un conto è il lavoratore che arriva in ritardo almeno una volta alla settimana senza una valida ragione o senza alcun comprovato impedimento.
Conclusioni
Il singolo ritardo sul lavoro, di per sé, non costituisce automaticamente una causa di licenziamento, ma la valutazione tra la violazione di un dovere del prestatore e la sanzione disciplinare applicata (come il licenziamento) deve essere fatta dal datore di lavoro nella consapevolezza che esistono sentenze (si pensi alla guardia giurata di cui si parlava all’inizio del presente articolo) che legittimano il licenziamento. Naturalmente la valutazione dovrà tenere conto:
- dell’entità del ritardo espresso in ore e minuti
- della frequenza del comportamento, ovvero della recidività in un preciso arco temporale o nell’arco del rapporto di lavoro
- dalle giustificazioni del ritardo, se sono tali da rendere impossibile la prestazione oppure se debitamente documentate e dimostrate
- dalla tempestività nella comunicazione del ritardo, azione che, come detto, rientra tra gli obblighi del lavoratore.
- dal danno causato all’azienda, che spesso è soggettivo in quanto potrebbe includere danni all’immagine aziendale o alla clientela, oltre che alla produzione
- dalla specificità e dall’importanza della mansione affidata al lavoratore, valutando quanto impatta il ruolo di un lavoratore sull’organizzazione, sulla sicurezza dell’azienda.
In sintesi la sentenza della Corte di Cassazione che ha aperto il presente articolo, evidenzia l’importanza della puntualità e della responsabilità nel contesto lavorativo, e stabilisce un precedente significativo per la gestione delle infrazioni disciplinari, dove da un lato I datori di lavoro potrebbero sentirsi incoraggiati a mantenere standard rigorosi, mentre dall’altro i lavoratori potrebbero dover essere più consapevoli delle conseguenze dei loro comportamenti.