Contratto a tempo determinato: ci sono novità??

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Uomo che pensa con tanti punti interrogativi sullo sfondo

E’ il quesito più gettonato quest’anno unitamente all’altra domanda ricorrente che è: ci sono in vista sgravi per le assunzioni?

Per prima cosa voglio sgomberare il campo affermando che il Legislatore quando prevede delle agevolazioni di natura contributiva, fiscale o economica predilige quei lavoratori che hanno maggiore difficoltà a trovare occupazione e nella maggior parte dei casi  le concede per assunzioni a tempo indeterminato.

Mi riferisco ad esempio ai giovani, ovvero a quei soggetti con meno di 35 anni di età, all’apprendistato, alle assunzione dei percettori del reddito di cittadinanza, ai lavoratori provenienti da imprese in crisi. Queste le più comuni.

Fanno eccezione, in deroga al principio di agevolare solo chi assume a tempo indeterminato, le assunzioni a termine di ultracinquantenni (disoccupati da almeno 12 mesi) o donne di qualsiasi età  prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi, ovunque residenti..

Torniamo al focus

Contratto a tempo determinato: ci sono novità?

Ormai è noto che una delle battaglie più importanti (assieme all’art. 18..) che si sono svolte al tavolo delle trattative tra i governi che ci hanno preceduto ed i sindacati ha riguardato il contratto a tempo determinato.

Sì perché il contratto a tempo determinato è considerato il male assoluto nonché genesi della precarietà sul lavoro, e l’intento di scoraggiare il più possibile questa forma contrattuale è un cavallo di battaglia di ogni legislazione… o quasi…

Infatti, il D.Lgs. n. 81/2015, come modificato dal D.L. n. 87/2018 (il decreto dignità, appunto), agli articoli da 19 a 29 ha introdotto:

  1. la durata massima dei contratti a termine
  2. il numero massimo di proroghe
  3. la causale obbligatoria per i rinnovi contrattuali e per le proroghe che comportino il superamento dei 12 mesi
  4. il numero massimo dei contratti stipulabili per azienda
  5. lo stop and go da rispettare tra due contratti con il medesimo soggetto

E, per finire, tutto quanto sopra senza alcun limite di validità, ovvero, con riferimento all’intera intera vita lavorativa del lavoratore.

Non so? Cos’altro??

In realtà, gli imprenditori, i datori di lavoro gli HR manager ritengono che sia un errore considerare la flessibilità come sinonimo di precarietà, soprattutto oggi nell’era post-covid, dopo lo smart working , dopo lo sdoganamento del welfare e del work life bilance, che hanno stravolto il concetto  classico di lavoro, parlare di flessibilità significa offrire alle aziende ed ai lavoratori un migliore adattamento alle esigenze del mercato, purché la si utilizzi nel modo corretto.

Rientra nell’agenda del Ministro del Lavoro, che sottolineo è un Consulente del Lavoro, la necessità di modificare o meglio di rimodulare la questione delle “causali” attraverso una precisa definizione a livello di contrattazione collettiva. In pratica saranno demandate sempre di più ai contratti collettivi di categoria l’individuazione delle causali per essere più sostenibili e fruibili. D’altronde oggi il D.lgs 87/2018 rende impossibile individuare delle ragioni/causali per contratti a termine oltre i 12 mesi. Non può essere che, oltre alle ragioni sostitutive (per lavoratori assenti con obbligo della conservazione del posto: malattia, maternità, infortunio..) le uniche causali legittime si abbiano in  presenza di “esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività” oppure da “esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria

L’intento del Ministro del Lavoro è sicuramente quello di rendere più fruibile il contratto a termine anche se questo significa scendere a patti con la Contrattazione Collettiva che per il 50% non è composta da Imprenditori…

Tuttavia appare indispensabile identificare causali specifiche, concrete e circoscritte, ma soprattutto diverse per settore e per esigenze. Oltre a quanto appena detto si rumoreggia anche la necessità di identificare un periodo massimo di durata a-causale elevandolo da 12 a 24 mesi. Periodo più che congruo per valutare la prosecuzione del rapporto a tempo indeterminato senza il timore di creare “precarietà” in un’epoca dove il fenomeno delle “dimissioni” è dilagante.

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