Il patto di prova nel nuovo disegno di legge lavoro

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due persone che si stringono la mano

Il Disegno di legge in materia di lavoro, ancora alla Camera per il varo definitivo, è stato “bollinato” di recente. Tra le novità interessanti che entreranno a regime dal prossimo anno vi sono le “dimissioni per fatti concludenti” di cui ho già parlato nel precedente articolo pubblicato nel BLOG.

Oggi voglio affrontare un altro argomento del DDL che in questi ultimi anni è stato motivo di contenzioso, mi riferisco all’esatto, si fa per dire, periodo di prova nei contratti a termine.

 

Facciamo un passo indietro

La direttiva europea UE2019/1152 aveva previsto di applicare una “proporzionalità” della prova in base alla durata del contratto a termine e alla tipologia o natura dell’impiego. Il recepimento della direttiva europea in Italia è stato normato dal D.lgs. 104/2022 che di fatto ha ribadito le medesime linee guida europee. La genericità della disposizione non ha reso semplice l’applicazione dell’esatto periodo di prova lasciando “libero” il criterio di “proporzionalità” da adottare. Criterio che i più hanno interpretato come qualche cosa che sta a “metà”, giusto per non sbagliare. Insomma, un po’ di “cerchiobottismo” non guasta mai!

Il DDL all’art. 6 prevede una piccola modifica ma direi sostanziale. Lo scopo sembra sia di stabilire dei riferimenti quantitativi precisi e forieri di interpretazioni personali… 

L’articolo recita così:

Fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi”

A prima vista sembra interessante, ben strutturato e apparentemente chiaro… Ma non è proprio “oro ciò che luccica”…

Analizzando il testo, a parte quanto previsto dalla contrattazione collettiva che nel tempo, forse, si adeguerà al nuovo orientamento, abbiamo dei riferimenti “precisi” parametrati alla durata del tempo determinato, pari ad un giorno ogni 15 di calendario con un minimo di due giorni ed un massimo di 15 giorni fino a sei mesi di durata del rapporto a termine e 30 giorni per i contratti a termine oltre i sei mesi e fino a 12!!

La domanda sorge spontanea in fase di applicazione quando ci troviamo ad esempio ad applicare il periodo di prova per un contratto a termine di 55 giorni di calendario?? Dividendo per 15 il risultato è 3,66. Quindi il periodo di prova sarà di 3 giorni o arrotondando per difetto 4?? Oppure pensiamo ad un tempo determinato superiore a 12 mesi quale periodo di prova applico?? 30 giorni (limite massimo consentito) oppure avendo superato i 12 mesi faccio “a modo mio”??

 

Chi vuol essere lieto sia ma del “labour” non v’è certezza.

Mistifico la frase di Lorenzo de Medici detto il “Magnifico” perché come è evidente il criterio di calcolo sembra ancora da affinare mostrando tutte le sue criticità, pur apprezzando lo spirito del Legislatore di semplificare il sistema.

Infatti, un altro tema “critico” riguarda appunto la durata del periodo di prova con riferimento alle mansioni e alla natura dell’impiego. Poniamo il caso di voler assumere un quadro o una figura apicale per 12 mesi e applicare quindi un periodo di prova di 30 gg. A ragion di logica sembrano veramente pochi e non sufficienti a valutare la professionalità del lavoratore pensando altresì che i CCNL per figure di rilievo prevedono un periodo di prova da 3 a 6 mesi!!

Limitare la prova in questo modo significa ad esempio porre in essere degli espedienti che indurrebbero i datori di lavoro a spezzettare il contratto a tempo determinato, sfruttando le 4 proroghe massime consentite per “procurarsi” tanti piccoli patti di prova (contratti) della durata di tre mesi (ad esempio) per valutare il lavoratore. Della seria fatta la legge… trovato l’inganno.

Pertanto, auspico che la contrattazione collettiva possa fissare in futuro dei riferimenti più mirati e circostanziati, correlati alla mansione e definire un periodo minimo ed uno massimo o un criterio di conteggio che si identifichi con il settore di appartenenza.

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