Pausa cafè
Il tempo è denaro

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persone in gruppo che bevono caffè in pausa

Già il termine “pausa” non piace molto all’imprenditore, se poi lo si abbina a “durante il lavoro” apriti cielo! Le domande piovono: quante sono le pause? sono obbligato a concederle? Posso eliminarle? Ma le pause sono pagate? Quanto possono durare?

Analizziamo il concetto di “pausa” da diversi punti di vista facendo anche riferimento a più fonti contemporaneamente: non solo leggi e CCNL ma anche Circolari del Ministero del Lavoro e soprattutto consuetudini e regolamenti interni.

Partiamo dalle consuetudini. Sì, perché non dimentichiamoci che la c.d. “pausa cafè” ha origini lontane, e a noi Italiani il cafè piace! Sembra che la sua origine sia datata agli inizi del 1900 con la nascita della macchina per l’espresso. Fu l’imprenditore Luigi Bezzera che progettò la macchina per l’espresso affinché (si narra) i suoi dipendenti bevessero il cafè più “velocemente”! Alla fine degli anni 60 gli scioperi e le contestazioni di protesta degli allora movimenti operai portarono alla richiesta di maggiori diritti per i lavoratori, tra cui proprio quello del “coffee break” e …. più crema nei kraft!!!

Oggi, anche l’imprenditore più reticente sa che la pausa cafè è fondamentale per il benessere e la produttività dei propri collaboratori. Non solo per il recupero delle loro energie fisiche, ma anche per sgranchirsi le gambe, distrarsi, fare due chiacchiere davanti ad un cafè o fumandosi una sigaretta.

La pausa cafè rientra nel macro-argomento dell’orario di lavoro, quindi tutto quello che riguarda anche i riposi giornalieri, settimanali e le ferie.

 

Cosa dice la legge?

Il Decreto-legge 66/2003 all’art. 8 parla proprio della c. “pausa intermedia” quello che poi è diventata per consuetudine la pausa cafè. Il Decreto stabilisce che laddove il CCNL non preveda nulla al riguardo il lavoratore ha diritto ad una pausa, o ad un intervallo, di almeno 10 minuti: il tempo di un cafè!

 

Ciò cosa significa?

Che la nostra ormai nota pausa cafè che abitualmente facciamo alle 10.00/10.30 di ogni mattina e quella delle 15.30/16.00 del pomeriggio, potenzialmente non sarebbe obbligatoria per legge, anzi per Decreto, se non sono trascorse almeno sei ore consecutive di lavoro. È il caso naturalmente di quelle attività che prevedono la “pausa pranzo”, quindi con orario di lavoro spezzato.

Come dicevo prima a far da padrone in queste circostanze sono le consuetudini o i così detti usi aziendali. Si fa la pausa perché è consuetudine farla a quell’ora e per un determinato lasso di tempo.
In questi casi però, ma ormai molte aziende lo fanno, si dovrebbe consegnare al lavoratore, o al momento dell’assunzione o anche dopo, un regolamento con l’indicazione specifica dell’orario e della durata della pausa intermedia. Il documento o regolamento aziendale, di cui parliamo, dovrebbe contenere anche le sanzioni disciplinari, in caso di violazione delle disposizioni previste.

 

Pause intermedie “obbligatorie”

Quanto abbiamo appena visto vale per la maggioranza dei lavoratori. Vi sono infatti delle categorie di lavoratori, come ad esempio i “videoterminalisti”, ad esempio, cioè quelli che per lavoro usano prevalentemente gli schermi, che hanno diritto a 2 ore di riposto su otto ore di lavoro. Diciamola meglio: 15 minuti di pausa obbligatoria ogni due ore di lavoro. Quindi lavorano complessivamente 6 ore e riposano 2.

 

Pausa pranzo: come sono le regole?

A differenza di quanto indicato nel D.lgs. 66/2003, che non ne parla in modo esplicito, la Contrattazione Collettiva al contrario considera la pausa pranzo obbligatoria. Si tratta di un momento di rifocillamento indispensabile, il cui valore psicofisico è ormai riconosciuto da tutti. In particolare, la pausa pranzo:

  • è un diritto per tutte le persone impegnate per almeno 6 ore lavorative
  • va goduta dopo un massimo di sei ore di attività continuativa
  • dura almeno 30 minuti
 
Ma si può saltare la pausa pranzo e fare un dritto?

No, perché è un vero e proprio diritto del lavoratore dipendente, e non può in nessun modo essere ridotta o sostituita da denaro.
Questo lo conferma proprio il Ministero del lavoro, (Circolare n. 8/2005) che non ammette di saltare la pausa nemmeno prospettando un compenso per lavoro straordinario.
Inoltre, il tempo per la pausa pranzo non può essere frazionato.

 

Ma se le pause sono obbligatorie sono anche retribuite?

Chiariamo subito che né la pausa caffè né la pausa pranzo sono retribuite.

Ma facciamo un passo indietro e vediamo cosa dice la Legge. Il Decreto Legislativo 8 aprile 2003 definisce l’orario di lavoro come qualsiasi periodo in cui il lavoratore è al lavoro, a disposizione del Datore e sta svolgendo le sue attività o le sue funzioni.
In realtà, questa definizione è molto più ampia, perché include anche tutto il tempo impiegato per svolgere attività complementari.
I famosi 10 minuti di pausa obbligatoria dopo 6 ore di lavoro (quella che abbiamo definito “pausa cafè”) rientrano nell’orario di lavoro, così come il “tempo tuta”, ovvero il tempo per la vestizione o la svestizione a fine turno. Le pause per i “videoterminalisti” rientrano nell’orario di lavoro e analogamente anche i riposi intermedi di 30 o 45 minuti per il personale che si occupa di trasporto di merci o persone rientra nell’orario di lavoro.
Ancora una volta, però, è sempre bene sapere qual è il CCNL applicato in azienda e vedere cosa disciplina sul tema, perché potrebbe contenere delle disposizioni diverse rispetto a quelle di legge.

 

Il tempo è denaro!!

Si è vero il tempo è denaro, ma il tempo dedicato al lavoro deve essere di qualità per ottenere la soddisfazione del lavoratore e i risultati che sostengano la crescita dell’azienda. Quindi la pausa lavorativa, anche se non prevista per legge (mi riferisco sempre alla pausa cafè che viene fatta anche senza il rispetto delle 6 ore di lavoro consecutive) è un mezzo per ritrovare energia e tutelare il benessere fisico, mentale e psicologico dei collaboratori, per rinnovare la motivazione e aiutare a ritrovare la concentrazione, oltre che migliorare l’umore e ridurre lo stress.

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