Welfare questo “quasi” sconosciuto
facciamoci delle domande e diamoci delle risposte.

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Scritta Welfare

L’interesse al welfare è decisamente in crescita. Tralasciando i grossi gruppi industriali che hanno fatto da apripista e con i quali non dobbiamo confrontarci, le perplessità e le domande per costruire un “piano welfare” sono diverse. Volevo affrontare il tema rispondendo alle FAQ più ricorrenti.

Vediamole insieme:

Quali aziende possono implementare un piano di welfare aziendale?
  • Non vi sono preclusioni di dimensione di settore o di appartenenza. Tutte le aziende possono implementare un piano welfare aziendale…
Qual è il punto di partenza per tale processo?
  • Assodato che il welfare aziendale è adattabile in qualunque contesto aziendale, è importante capire ovvero individuare quale sia la finalità che si vuole perseguire!! Quando parliamo di finalità bisognerebbe identificare un obiettivo a breve, medio o lungo termine.
Quali possono essere degli obiettivi?
  • Attrazione talenti (soprattutto per settori che risentono della fuga delle competenze);
  • Fidelizzazione delle risorse, spesso costruite e consolidate in azienda;
  • Premialità della popolazione aziendale con una particolare attenzione al contenimento dei costi;
  • Creazione di una coesione di gruppo;
  • Sviluppo di logiche di benessere con un impatto sul territorio circostante (si pensi alla creazione di un’immagine aziendale sul territorio – Luxottica, ad esempio, la conosciamo oltre che per gli occhiali anche per le politiche di Welfare)
Quanto dura un piano welfare?
  • Un piano di welfare spesso intreccia molteplici obiettivi, districandosi su una progettualità che abbraccia più anni per avviarsi, svilupparsi e consolidarsi. Non esiste una durata stabilita, ma affinché possa realizzarsi un fine stabilito ritengo che ci vogliano almeno 3/4 anni. Diciamo che è un processo che inizia piano e si sviluppa nel tempo.
  • La definizione dell’obiettivo consente come conseguenza di stabilire:
    • tempistiche di attuazione perseguibili per l’azienda;
    • messaggio comunicativo da veicolare ai destinatari.
    • la durata del piano di welfare
    • la tipologia di welfare meglio adattabile alle proprie esigenze.
Quale tipologia di welfare è meglio adattabile alla mia realtà?

Prima di tutto è importante fare un distinguo su quali siano gli strumenti normativi ad oggi esistenti con cui avviare un progetto welfare.

a. Welfare per gruppi omogenei

Detta così non si capisce molto. È attivabile in ogni momento, a mezzo di un regolamento aziendale avente carattere vincolante per le parti (con possibile, ma non obbligatorio, coinvolgimento sindacale). Il progetto welfare “per gruppi omogenei” abbraccia una popolazione aziendale accomunata da caratteristiche oggettivamente riscontrabili, tali da farne un gruppo omogeneo avente accesso ad un medesimo paniere di servizi. Ad esempio, suddividendo i collaboratori in impiegati/operai oppure prendendo in considerazione “solo” gli impiegati amministrativi oppure solo i commerciali. Insomma, posso sbizzarrirmi nella scelta delle categorie omogenee presenti in azienda. Ad esempio, posso anche considerare “omogenei” tutti quei lavoratori che abitano oltre 10 km dalla sede aziendale. Questa tipologia di welfare presuppone che l’azienda abbia sempre una visione collettiva del progetto (destinato all’intera popolazione aziendale o a gruppi omogenei di essa), garantendo equità di accesso ai medesimi servizi nello stesso gruppo. È uno strumento che risponde ad un messaggio di appartenenza e coesione di gruppo, senza verticalizzazioni che “parla” ai destinatari in termini di accesso a servizi, resi a loro disponibili e mai monetizzabili.

Quali i vantaggi??

Il welfare per gruppi omogenei rappresenta un possibile plus che la direzione pone a disposizione della totalità dei dipendenti o loro gruppi, sempre percorrendo logiche di eguaglianza.
È uno strumento non soggetto a restrizioni di platea in termini di tipologie contrattuali (risulta accessibile anche ai redditi assimilati al lavoro dipendente come gli amministratori, senza vincoli di RAL o retribuzione annua imponibile fiscalmente).
È uno strumento che non presenta limitazioni ad origine per l’ammontare del valore dei servizi attribuibili pro capite.

b. Welfare introdotto all’interno di un accordo di II livello per il premio di risultato:

è un welfare che viene veicolato tassativamente tramite accordo sindacale, consentendo ai destinatari di poter riscuotere il proprio premio di risultato non solo in denaro anche mediante accesso a servizi che garantiscano l’azzeramento dell’imposizione previdenziale e fiscale, sia per il lavoratore che per l’azienda. (gif card o servizi welfare). Condizione determinane è stabilire e misurare l’andamento di un indicatore che, ove riscontrato vincente in termini di produttività, incrementalità, efficienza, consente di poter mettere a disposizione dei lavoratori delle somme in denaro oppure di convertirle in “beni e servizi” Gli indicatori possono essere molteplici, dal fatturato, al MOL (margine operativo lordo), all’assenteismo, alla produttività, alla qualità ecc…

Caratteristiche?
  • È uno strumento condizionato al rispetto delle caratteristiche del premio di produzione detassato, naturalmente in capo al dipendente con l’applicazione della sola aliquota del 5%!!
  • Vincolato alla definizione a priori di un congruo periodo di riferimento, in cui, possa dare accesso alla scelta fra monetizzazione del premio o sua riscossione in welfare.
  • Accessibile ai dipendenti che abbiano, nell’anno fiscale precedente, non superato un reddito imponibile fiscale di 80.000 € ed ha, quale limite di massimo premio erogabile o convertibile in welfare, la soglia di 3.000 €.
Quali i Limiti?

Anche se mi attraggo il disappunto della categoria, il limite a mio parere, è rappresentato dal “vincolo” di uno o più sindacati che dovranno firmare l’accordo. Della serie: no sindacati, no accordo!! Per par condicio mi piace pensare che in ogni “limite” possa anche diventare un’opportunità!!

Consigli pratici per implementare con successo un piano di welfare aziendale!

Per le aziende che si avvicinano ex novo allo strumento, il consiglio è di partire con progetti di durata annuale, sperimentali, al fine di costruire un percorso che si sviluppi per gradi, magari partendo da “accordi aziendali interni” … il tutto naturalmente per accompagnare tanto la direzione quando la popolazione aziendale ad un cambio di paradigma.
Per le aziende che siano già in parte abituate allo strumento, magari per quelle dove il welfare è già reso obbligatorio da Ccnl, di affiancare un ulteriore “progetto welfare” con strumenti aggiuntivi che rispondano ad una finalità superiore di impatto sul territorio o di incentivazione alla produttività, andando a ideare percorsi che non siano solo di erogazione di servizi, ma anche di visione più ampia (si pensi a progetti che, nel proprio welfare, prevedano progressioni di carriera, acquisizione di specializzazioni a carico azienda da potersi reimpiegare nella stessa realtà, fino a programmi che, per realtà internazionali, sviluppino progetti di Erasmus professionale).

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