Il controllo “indiretto” dei dipendenti
Quando la vita virtuale diventa un problema reale

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uomo che controlla con la lente di ingrandimento un ipad

Abbiamo già discusso il tema del potere di vigilanza da parte del Datore di Lavoro, distinguendo il mero (e proibito) “controllo a distanza” volto unicamente a monitorare l’attività dei propri dipendenti, contrapposto alla reale necessità di effettuare sorveglianze finalizzate alla tutela del patrimonio aziendale.
Abbiamo parlato di impianti di telesorveglianza e dei relativi accorgimenti: per l’articolo completo premi QUI 
Questa volta invece affrontiamo la questione “controllo dipendenti & rispetto privacy” da una diversa angolazione: il “monitoraggio” delle attività dei propri collaboratori con strumenti esterni a quelli impiegati ed impiegabili durante la normale attività lavorativa.

Strumenti “esterni” in che senso?

Il mondo cambia, la società si evolve (almeno si spera), e come nascono nuovi mestieri quali “influencer” e “youtuber”, nascono anche nuove situazioni e contesti che, in un passato con diverse tecnologie, non c’erano.
Parliamo quindi di tutte quelle situazioni e notizie estremamente sgradevoli delle quali si viene a conoscenza tramite vie traverse, talvolta senza nemmeno volerlo!
Primi tra tutti post e fotografie nei social…stati…stories…selfies…attraverso i quali si scopre, tanto per citare un evergreen, che un proprio dipendente assente per malattia in realtà se ne va in giro come nulla fosse.
O, peggio ancora, quando tramite i social si vengono a scoprire commenti sgradevoli, comportamenti inadeguati, e addirittura iniziative che ledono l’attività della propria azienda.

Lo Statuto dei Lavoratori, Articolo 4

L’ormai noto Jobs Act del 2015 (sono già passati quasi dieci anni! – nda ) ha inserito la tutela del patrimonio aziendale tra le occorrenze che autorizzano un Datore di Lavoro ad attivare strumenti per il controllo a distanza dell’attività lavorativa.
A patto di informare preventivamente i lavoratori sulle modalità di utilizzo degli strumenti di controllo, assicurando lo svolgimento del monitoraggio in conformità alla normativa privacy.
E fin qui, tutto chiaro.

Galeotto il post e chi lo scrisse

Ma se il problema insorge quando, magari per caso, si nota che il dipendente è costantemente online su Whatsapp?
E se i post pubblici su Facebook, cristallizzati nel tempo, vengono ripetutamente scritti in pieno orario lavorativo?
E se sbirciando il suo profilo pubblico su Instagram posso apprezzare incantevoli panoramiche di tramonti sul mare o selfie di gruppo e quant’altro, in un periodo in cui, a detta sua, è bloccato/a in casa per malessere ed indisposizione?

C’è post e post…e la Legge dice la sua

La giurisprudenza si è espressa chiaramente per quanto riguarda messaggi denigratori/offensivi/calunniosi nei confronti del datore di lavoro o dell’azienda, con ben due sentenze di Cassazione (10280/2018 e 21965/2018) facendo un fondamentale distinguo tra:

  1. messaggi pubblici, e quindi accessibili ad un numero non determinabile di persone (pensiamo a post pubblici su Facebook e simili piattaforme)
  2. messaggi diretti ai quali accedono un numero limitato di persone, come le chat WhatsApp.
E la Costituzione Italiana?

L’Art. 15 è chiarissimo:
“La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”
La distinzione di Legge derivata dalla somma di questi elementi è quindi la seguente:

  • Messaggi denigratori di cui al punto 1 qui sopra: si tratta di attività diffamatoria nei confronti del Datore di Lavoro e possono essere utilizzati per contestare il comportamento illecito del dipendente
  • Messaggi denigratori di cui al punto 2 qui sopra: sono considerati per legge corrispondenza privata, quindi anche il solo tentativo di accedervi da parte del Datore di Lavoro è un reato.

Il lavoratore dipendente ha l’obbligo di correttezza e buona fede, pertanto comportamenti offensivi pubblici, seppure sui social, ledono la reputazione dell’azienda e, come conferma la giurisprudenza, essendo i dati condivisi sui social fruibili da terzi, possono essere oggetto di analisi ed utilizzati con fini disciplinari.

Ma a parte le calunnie….

Se è sempre on-line mentre è a lavoro?

Navigare su internet per ragioni personali, svolgere attività ludiche, telefonate personali e, ovviamente, chattare, sono attività vietate durante l’orario di lavoro.
Ma per poter contestare tale comportamento, occorre averne prove tangibili e dimostrabili.

Se l* scopro fare jogging o andare al mare mentre è in malattia?

Abbiamo parlato della reperibilità durante la malattia in questo articolo: CLICCA QUI

quindi attenzione! Al di fuori delle fasce orarie stabilite non vi è l’obbligo di stare a casa.
Ovvio che saperl* moribond* e avvistarl* fare jogging fa venire qualche dubbio……..

E se ho il sospetto che addirittura svolga un’attività parallela che leda la mia azienda?

Torniamo al paragrafo precedente, se attività e iniziative che addirittura fanno concorrenza all’attività aziendale, vengono spudoratamente pubblicate su piattaforme fruibili a tutti, danneggiando direttamente l’azienda e venendo meno agli obblighi correttezza e buona fede, ecco che ci si può organizzare per intervenire!

I limiti di controllo

Sono molti i principi che il datore di lavoro deve rispettare in materia di tutela dei dati personali quando si effettuano controlli sui dipendenti, e Jobs Act, Statuto del Lavoratori, Costituzione Italiana, Regolamentazione Europea sulla privacy, sentenze di Cassazione e chi più ne ha più ne metta, tutti dicono la propria.
Se è indiscutibile l’amaro in bocca di fronte a certe situazioni, è anche vero che occorre agire con la giusta circospezione e affrontare il singolo caso con le opportune precauzioni.
Contatta i nostri esperti per avere supporto.

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