Te lo dico a modo mio!
In un tranquillo ufficio tecnico di un paesino del basso Polesine, Mario, un dipendente esperto e molto apprezzato nel suo lavoro, ma piuttosto disinvolto con gli orari, aveva preso l’abitudine di allontanarsi frequentemente dal posto di lavoro durante l’orario di servizio. Le sue uscite, giustificate con la classica scusa della “sacrosanta pausa caffè”, avvenivano senza che egli timbrasse l’uscita, lasciando così “traccia” di una presenza fittizia.
In fondo, diceva sempre tra sé e sé, si tratta di una pausa caffè…chi non la fa in Italia? Invero il Mario durante la sacra pausa caffè, ne approfittava per sbrigare delle piccole faccenduole personali. Un giorno si prendeva le sigarette, un altro si comprava il pranzo, un altro andava a ritirare la biancheria al lavasecco. Ogni giorno un caffè e una commissione…
Ninetta Sgarrupata titolare dello Studio, imprenditrice attenta e scrupolosa, ma anche benevola e tollerante, aveva notato questa abitudine e ha iniziato a nutrire dubbi sulla correttezza del comportamento di Mario e decise di approfondire la questione.
Fu così che venne coinvolto il Consulente del Lavoro, un esperto in diritto del lavoro noto per la sua precisione e lungimiranza. Dopo aver esaminato i fatti, il Consulente concluse che, pur non essendoci stata alcuna manomissione del sistema di rilevazione delle presenze, la condotta di Mario integrava una forma di falsa attestazione della presenza. Il comportamento, reiterato nel tempo, aveva generato un’apparenza ingannevole, sufficiente a compromettere il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e dipendente.
Il Consulente, citando la recente ordinanza della Cassazione, la n. 9054/22025, sottolineò che non era necessario un danno economico diretto per configurare una condotta fraudolenta: bastava l’idoneità del comportamento a minare la fiducia. La mancata timbratura, anche in assenza di alterazioni tecniche, rappresentava una modalità fraudolenta rilevante ai fini disciplinari, passibile quindi anche del licenziamento, confermando di fatto l’orientamento giurisprudenziale volto a tutelare l’affidabilità del dipendente nel rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede.
L’indomani, Ninetta Sgarrupata si appostò con discrezione dietro la pianta di ficus dell’ufficio, armata di taccuino, penna e una tazza di camomilla, che lei preferiva al caffè per principio. Alle 10:37 in punto, come da tradizione ormai consolidata, Mario si alzò con fare disinvolto, prese il suo giacchino e, con un sorriso sornione, annunciò che stava andando a prendere un caffettino e che sarebbe tornato subito.
Ninetta lo seguì con lo sguardo, poi si alzò e lo raggiunse all’uscita, dicendogli che quel giorno sarebbe andata anche lei, perché aveva voglia di un caffè… e magari anche di una chiacchierata. Mario, colto un po’ di sorpresa, abbozzò un sorriso e le rispose che certo, il caffè era più buono in compagnia.
Seduti al bar del paese, tra un sorso e l’altro, Ninetta gli spiegò con calma e fermezza quanto fosse importante il rispetto delle regole, non solo per l’azienda, ma anche per la fiducia reciproca. Mario ascoltò, un po’ imbarazzato, ma sinceramente colpito.
Alla fine, propose che da quel momento in poi avrebbe timbrato sempre, anche per il caffè, e che, se necessario, avrebbe fatto pure un turno extra per recuperare. Aggiunse però che il caffè, quello, doveva restare sacro. Ninetta rise, confermando che sì, il caffè era sacro, ma anche la fiducia lo era.
E così, tra una risata e una stretta di mano, si ristabilì l’equilibrio nello Studio Tecnico. Mario divenne il paladino della timbratura corretta, e Ninetta, di tanto in tanto, si univa volentieri alla pausa caffè.